CHE IL GOLFO avesse tutte le caratteristiche per un porto di grande capacità era noto ai marinai fin dai tempi più antichi, essendo l’unico riparo sicuro in tutto il mar Ligure e nel Tirreno settentrionale. Ma la Storia lo ha relegato per secoli ad un ruolo marginale, anche in epoche più recenti zona di confine tra Stati in guerra tra loro, teatro di scontri tra le maggiori potenze europee che lo razziarono a più riprese, come nel ‘700 ad opera di Francia, Austria, Prussia e Inghilterra. ARRIGO PETACCO, giornalista e scrittore portovenerese da poco scomparso, nel libro “La Spezia nel Risorgimento” ritaglia un ruolo primario per il nostro golfo nella storia nazionale fin da metà ‘800 intorno all’Hotel d’Italie, per la presenza assidua dei regnanti e, con loro, delle alte cariche dello Stato sabaudo, con il codazzo di cortigiani e faccendieri; tra loro anche personaggi discutibili come la marchesina Oldoini, spezzina forse al centro di trame politiche internazionali progettate tra una “bagnatura” in mare e un incontro privato, volte a liberarci definitivamente del giogo austriaco e trasformare la semplice “espressione geografica” del Metternich in una nazione vera. Prima ancora che Napoleone III si invaghisse della marchesina, il suo avo Napoleone Bonaparte all’inizio dell’ottocento aveva posato gli occhi sul golfo e, attraverso cartografi e ingegneri, lo aveva posto al centro del progetto con cui la Marina imperiale da guerra avrebbe dovuto strappare il controllo dei mari a quella britannica, il Mediterraneo in particolare. Un progetto che, come sappiamo, naufragò con tutto il resto dell’impero a Waterloo lasciandoci in ricordo solo qualche strada militare in più. DURANTE il Risorgimento, mentre politici, nobili e meno nobili tramavano sulle nostre spiagge per riscattare secoli di colonialismo passivo (“Francia o Spagna purchè se magna!”) tutto rimase immutato nel nostro golfo fino all’unità d’Italia quando, di fronte alla manifesta inadeguatezza del porto di Genova ad ospitare un arsenale militare marittimo degno della neonata Marina da guerra italiana, all’improvviso tra le dieci più potenti del mondo con quasi 100 navi, fu deciso di trasferirlo alla Spezia. VENUTA meno la pregiudiziale di “terra di confine”, il golfo visse uno sviluppo “violento” e, seppur in un periodo di forte emigrazione all’estero, il piccolo borgo di Spezia da Cenerentola della Liguria diventò una delle venti città più popolose del Paese, più tecnologicamente avanzate e industrializzate d’Italia, più culturalmente attive su tutti i fronti. La realtà rurale locale assistette impotente alla trasformazione frenetica del territorio e delle tradizioni, unica città in cui l’italiano si parlò, ben prima dell’arrivo della televisione, non per scelta volontaria ma per la necessità di districarsi in mezzo a dialetti incompatibili tra loro ma che impararono presto a convivere nell’arsenale e nel vicino quartiere “dormitorio” Umberto I. Una cerchia di 42 fortificazioni e 6 chilometri di mura cittadine resero il golfo e la città inattaccabili da terra e da mare, luogo ideale dove costruire industrie belliche. Una ricchezza culturale e una integrazione piena di decine di migliaia di italiani, così diversi, attraverso il lavoro e condizioni di vita adeguate, grazie all’impegno costante di Marina e Comune per rispondere alle esigenze della cittadinanza e alle emergenze sanitarie che la toccarono. Marina e città sono cresciute insieme e insieme hanno saputo affrontare i momenti più esaltanti e più bui della nostra storia, come le due guerre mondiali e il terrorismo; sempre in primo piano, sempre con la consapevolezza di svolgere un ruolo decisivo nella difesa dello Stato e dei suoi cittadini. TUTTO è partito con l’Arsenale, inaugurato alle ore 13.45 del 28 agosto 1869 con l’allagamento delle due darsene interne, scavate “all’asciutto” per permettere di accorciare i tempi di realizzazione: 6 anni per oltre 100 ettari di stabilimenti con mura, bacini, scali di costruzione, banchine e capannoni industriali al posto di poderi, orti, chiese e case contadine. Una trasformazione del territorio irreversibile che allontanò per decenni il turista alla ricerca del tranquillo angolo di mare di qualche anno prima, sostituito da un immenso frenetico cantiere. Se Vittorio Emanuele II e Camillo Benso di Cavour furono i “padri della Patria”, coloro che, attraverso Giuseppe Garibaldi, riuscirono a unificare il Paese e liberarlo dal giogo straniero, per noi spezzini deve avere un posto particolare nella memoria anche Domenico Chiodo, il maggiore del Genio Militare che progettò e costruì l’arsenale dando così impulso allo sviluppo della città. A loro tre furono infatti intitolate le strade principali del centro, anche se la “damnatio memoriae” ha poi inspiegabilmente rinominato quelle dedicate ai reali. Un progetto avveniristico quello di Chiodo, che prendeva spunto dall’arsenale svedese di Karlkrone, caratterizzato da una vasta area industriale circondata da un’area di stoccaggio, lavorazioni e ormeggio; un’ottica decisamente diversa dal passato: non più una fortezza chiusa ma una città industriale aperta che demandava i compiti di difesa ad opere esterne. Ed il golfo della Spezia si prestava naturalmente a questo.
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Spiegone interessante
Ammiraglio! Franza o Spagna basta co’s magna l’ho pronunciata prima del pranzo in quadrato del Carabiniere avendo come ospiti un ufficiale francese ed uno spagnolo è il Comandante Galdo sconsolato scosse la testa!